di Roberto Masiani e Beatrice Loreti
L’osservazione, come una fiamma di attenzione, spazza via il male. L’osservazione è come una fiamma, è attenzione e con questa capacità di osservare, la ferita, la sensazione di dolore, la contrarietà, tutto ciò viene bruciato, eliminato (Jiddu Krishnamurti) (1).
È noto che tra i soggetti più ricchi e potenti al mondo oggi ci sono coloro che attraverso l’informatica e internet riescono a coinvolgere milioni di persone ogni giorno. Il dominio delle reti televisive in questi ultimi anni è stato superato dai social media che utilizzano le reti informatiche. I numeri erano impensabili fino a pochi decenni fa. Al primo posto le quattro piattaforme di Mark Zuckenberg Facebook (2,4 miliardi di utenti attivi ogni mese), Whatsapp (1,8 miliardi), Messenger (1,3 miliardi), Instagram (1 miliardo), poi Google con Youtube (2 miliardi), in oriente domina We-chat (1,1 miliardi) di Ma Huateng che nel 2020 con un patrimonio personale di 56 miliardi di dollari ha strappato il titolo di uomo più ricco della Cina a Jack Ma, il fondatore di Alibaba Group, un altro storico gigante della rete telematica. È cinese anche TikTok il nuovo social che in tre anni ha superato 500 milioni di utenti mensili e sta crescendo rapidamente. Si stima che attualmente le persone che usano abitualmente i social media siano 3,8 miliardi con un aumento nell’ultimo anno di 321 milioni (9%), favorito dalle misure restrittive introdotte per contrastare l’epidemia causata dal Covid-19 (2). Il 91% degli utenti accede alle piattaforme social tramite i telefoni cellulari che porta sempre con sé. È stato calcolato che mediamente ci passano 2 ore e 16 minuti al giorno (3). La concentrazione nelle mani di pochissime persone di un potere così diffuso nel mondo è un fenomeno del tutto nuovo, che si sta velocemente evolvendo, quindi ancora in gran parte da scoprire. Tuttavia siamo già in grado di vedere le implicazioni enormi che comporta in ogni settore, non solo economico, ma anche politico, sociale, culturale, e non di meno sulla interiorità delle persone, quindi anche sul modo di pensare, di parlare e di agire.
È naturale domandarsi come facciano i gestori di questi strumenti informatici ad acquisire così tanto potere. La loro principale abilità consiste nel fare in modo che tante persone passino molto tempo a guardarli e ascoltarli. In parole semplici, si impossessano della nostra attenzione. E dunque viene proprio da dire che sia la nostra attenzione il prodotto che viene commercializzato. Attenzione che viene poi ceduta a soggetti interessati a vendere prodotti o a influenzare il nostro modo di pensare. Nel 2020 è uscito un film inchiesta, The Social Dilemma (4), che spiega bene come l’attenzione sia un prodotto di grande valore che i social media riescono a catturare con grande abilità e spiega alcune delle sofisticate strategie che le piattaforme usano, per poi ricavarne enormi vantaggi. Il prodotto è sempre più raffinato grazie alle tecnologie in continua evoluzione per il controllo degli utenti. Ognuno di noi viene profilato non solo per le sue preferenze negli acquisti, ma anche per il modo di pensare e di comportarsi. Veniamo costantemente seguiti e analizzati con degli algoritmi che studiano i nostri comportamenti in relazione a età, sesso, nazionalità, cultura, opinioni, gusti personali, interessi, lavoro, hobby, condizioni economiche, titoli di studio, orientamento politico e religioso, luoghi e persone che frequentiamo, e così via. Il film riporta le testimonianze di alcuni protagonisti del sistema che hanno avuto l’onestà e il coraggio di uscirne per rivelare al pubblico retroscena inquietanti. Molti affermano che i gestori dei grandi social media sono in grado di manovrare l’opinione pubblica nel mondo e sono attivi nel bloccare certi contenuti ed incrementare la diffusione di altri (5). Le grandi potenze USA, Cina e Russia impediscono l’ingresso di operatori di altri paesi nelle aree che controllano (6).
Dato che i social media influenzano così tante persone, sarebbe utile domandarsi in quale maniera usano il loro potere, in quale direzione orientano il modo di pensare e quali valori promuovono. Incentivano un uso stabile e approfondito dell’attenzione oppure un’abitudine alla frammentarietà e alla superficialità? Favoriscono la comprensione personale del significato della vita attraverso l’esperienza diretta del rapporto con se stessi e con il mondo esterno, oppure alimentano illusioni centrate su modelli astratti, feticci virtuali scollegati dal mondo reale? Noi riteniamo che queste siano domande importanti da porsi, sebbene l’insegnamento collegato alla pratica meditativa ci inviti a riflettere ancor prima sulle nostre stesse facoltà personali. Come è possibile che accada tutto questo? Come mai l’attenzione è così preziosa? Non ha forma, non si vede, non si sa di cosa sia fatta, eppure è così importante. Perché? Cosa può fare ciascuno di noi per mettere questi strumenti al servizio del bene?
Nella meditazione sperimentiamo concretamente che la facoltà di dirigere l’attenzione è uno dei nostri poteri più preziosi (7). Ci possiamo rendere conto che dove dimora la nostra attenzione, lì è attiva la nostra vitalità. Donando attenzione a una cosa, doniamo la nostra forza vitale, ciò che abbiamo appunto di più prezioso. Dare attenzione è il bene più grande che possiamo realizzare, perché dall’attenzione fluisce naturalmente la comprensione diretta dell’esperienza che stiamo incontrando e di conseguenza il pensiero, la parola e l’azione più saggi, che in molti casi può anche consistere semplicemente nella stessa presenza, ancora più attenta. Alcuni anni fa Roberto stava praticando focusing (8) accompagnato dall’insegnante Roberto Tecchio sul tema di come prendersi cura della sofferenza di alcune persone con le quali stava per incontrarsi, verso il termine della sessione è arrivata nella mente l’immagine di una donna leggera e luminosa, con lo sguardo sereno e tutto il corpo rivolto a donare la sua completa e silenziosa presenza. Era l’immagine di Maria come raffigurata nella statua della Pietà di Michelangelo. Un’opera d’arte che fin da bambino lo aveva incantato, quando uscendo da scuola a volte si avventurava nella basilica di San Pietro -a quei tempi facilmente accessibile come qualsiasi altra chiesa di Roma- ma prima di allora non aveva compreso quel significato. In quel momento ha capito che, anche di fronte alle più grandi sofferenze, come la crocifissione del proprio amatissimo figlio, non c’è niente di più potente e benefico per un essere umano che donare la propria presenza piena e stabile. Questo, secondo lui, ha voluto tramandarci il genio di Michelangelo, che aveva all’epoca solo 24 anni, ma era già stato iniziato ai misteri dell’essere presso la corte di Lorenzo de’ Medici, frequentata tra gli altri a Firenze dal cerchio neoplatonico di Marsilio Ficino. Dei sette doni che la Mente Divina trasmette agli uomini per consentire loro di armonizzarsi con Amore -ricorda Ficino nel suo “Sopra lo Amore”- il primo è “la sottilità di contemplare” (9). Come ricordava recentemente Joseph Goldstein all’AMeCo, quando impariamo a stabilizzare la mente possiamo intenzionalmente aumentare l’attenzione, come girando una manopola per aumentare l’intensità, che in questo caso vuol dire aprirsi al contatto con tutti gli aspetti di quell’esperienza, una “contemplazione più sottile” (10). Intensità e stabilità sono le due principali qualità dell’attenzione.
Se l’attenzione è un bene così prezioso e personale, come fanno alcuni soggetti dall’esterno ad appropriarsene? Jiddu Krishnamurti diceva che “il pensiero è così ingegnoso, così intelligente che può travisare ogni cosa a proprio vantaggio” (11).
Il nostro pensiero ha la possibilità di scollegarsi completamente dall’esperienza concreta. Un potere straordinario perché ci consente di sognare. Possiamo immaginare e poi realizzare strumenti, macchine, costruzioni ed opere d’arte, teorizzare e sviluppare il linguaggio, la scienza, la filosofia, la religione. Ci consente di contribuire nei nostri limiti allo sviluppo della creazione universale. Ha una qualità divina, ma è così potente che può occupare con le sue astrazioni tutto lo spazio dell’attenzione, creando l’illusione che non esista più tutto il resto. In quei momenti controlla completamente le nostre vite e diventa diabolico (12). Corrado Pensa descrive quello che accade con straordinaria semplicità e chiarezza: “La mente proliferante ci isola procurandoci la sofferenza di separarci non solo dagli altri, ma anche dal tesoro della nostra pace interiore” (13).
Con la pratica meditativa impariamo cosa accade quando l’attenzione, dominata dalle formazioni astratte della mente, come ipnotizzata o rapita, non è più in grado di farci conoscere ogni altro aspetto della realtà in modo equanime. Anche le altre facoltà mentali, come il discernimento, le decisioni, la volontà, le parole e i comportamenti, non sono connesse con aspetti essenziali dell’esperienza e quindi dimorano nei giardini di Mara, il portatore per antonomasia di confusione (14). Questo accade molto spesso probabilmente perché, come scrive Neva Papachristou,“imprevedibilità, precarietà e vulnerabilità fanno paura ai nostri teneri cuori che corrono a cercare sicurezza nella reattività, diventando così sempre più fragili e timorosi” (15).
Una parte di noi si illude che, dimorando in questo mondo creato dalla nostra stessa mente, possiamo fuggire dal malessere che certe volte proviamo. Eppure è utile riflettere su quanta sofferenza ci venga proprio a causa della poca attenzione che rivolgiamo a noi stessi. Tanto più ci riesce difficile dare a noi stessi tutta l’attenzione di cui abbiamo bisogno, tanto più possiamo tenerci occupati nel fare cose e cercare di ottenere attenzione da altre persone. Si trasferisce sull’esterno il compito di risolvere un deficit prodotto da un meccanismo interno. Sono sforzi destinati il più delle volte a fallire e creare ulteriore frustrazione, a meno che non siano considerati come semplici incoraggiamenti, accompagnati da una presa di coscienza e di responsabilità personale. Abbiamo bisogno di mantenere l’attenzione aperta e collegata con ogni aspetto dell’esperienza, per evitare di chiuderci in una dimensione limitata o ingannevole, e ritrovare la nostra armonia. Spesso nelle relazioni proviamo malessere perché pensiamo che il mondo ci debba offrire quel senso profondo di appagamento che cerchiamo. Quando ci apriamo all’incontro con la realtà e sperimentiamo senza paura dukkha (insoddisfazione), anicca (impermanenza) e anattā (non sè) comprendiamo che l’appagamento non si può trovare nel cercare sempre di prendere il meglio di ciò che sta fuori, ma nella maniera in cui accogliamo e rispondiamo a quello che c’è, cercando di offrire il meglio di noi stessi. Il dono più grande è poter dare in questo modo il nostro contributo positivo alla ruota della vita, con tutte le alternanze di esperienze che la caratterizza. Parafrasando l’imperativo kantiano potremmo dire che il nostro corpo-mente non è il fine ma il mezzo per onorare la vita (16). Un mezzo ricco di potenzialità. Con questo atteggiamento ogni esperienza, anche frequentare i social media, può diventare una occasione per fare bene.
I giganti delle piattaforme informatiche fanno leva sulle nostre debolezze e ci offrono esche sempre più sofisticate per rendere accattivante la realtà virtuale. Ad esempio, con il meccanismo dei like molto usati su Facebook e su Istagram, costruiscono l’illusione di essere non solo notati da altre persone ma anche apprezzati. L’impressione generata è che sia possibile, con grande facilità, ottenere riconoscimento e stima virtuali e che queste possano sostituire quelle che non si riesce ad ottenere nella vita reale. Peccato che sia tutto talmente superficiale che spesso non dura più di quei tre o quattro secondi che servono per passare al post o alle foto successive. La meraviglia e la complessità di una persona, fatta di corpo, cuore e mente, una faccia espressiva, gli occhi che lasciano intravedere l’anima, il modo di muoversi e le sfumature della sua voce, il suo odore, la luce che emana, tutto è ridotto a un arido profilo tracciato sullo schermo di un apparecchio di plastica. Nel film Social Dilemma si consiglia di disattivare le notifiche e non andare a vedere quello che viene proposto dalla piattaforma. L’idea è quella di contrastare la tendenza dei sistemi a determinare quando e per cosa dobbiamo usarli. Personalmente trovo utile focalizzarsi, prima ancora di aprire una piattaforma social, su cosa voglio vedere e per quale motivo. Certe volte non riesco ad evitare di essere distratto, ma perlomeno ho un parametro per rendermi conto a posteriori di quanto ancora posso essere condizionato.
La forza dei social media è la conferma che dove lasciamo che si posi la nostra attenzione si crea una relazione significativa che dà forma alla nostra vita, sia interiore che esteriore. La tendenza a perdersi è molto radicata nelle nostre menti, ma, coltivando una semplice intenzione di presenza, possiamo tornare al nostro centro. Il primo passo è riconoscere dove sta dimorando la nostra attenzione. Possiamo esercitarci ad usare l’attenzione come la spada laser dello Jedi, un raggio intenso di energia, che diventa più forte se si usa con gli occhi chiusi, come nel film Guerre Stellari di George Lucas. La pratica della meditazione e i social media ci fanno capire, per vie opposte, quanto sia necessario mantenere il controllo dell’attenzione e non dimenticarsi di orientarla momento per momento su ciò che per ciascuno di noi è più importante. La preghiera e i mantra oppure i rituali che uniscono parole, gesti, immagini e suoni dovrebbero servire a questo scopo. Gli insegnamenti buddhisti, come l’Ānāpānasati Sutta ci ricordano come sia possibile in ogni momento verificare come sta funzionando la nostra attenzione. Se la troviamo confusa o irrigidita, rapita da pensieri astratti, siamo invitati a riportarla in un porto sicuro dove può rilassarsi, aprirsi e rinforzarsi. Qualcosa di sempre accessibile, interno e agevole da seguire, come il movimento ritmico e costante della nostra respirazione. Facendolo ci accorgiamo che non è un punto di arrivo, ma è il punto di partenza per iniziare a riprenderci cura della vita reale. Per questo proviamo immensa gratitudine per i grandi maestri del passato, come il Buddha, che ci hanno tramandato queste conoscenze e anche rispetto alle nuove sfide della globalizzazione informatica ci indicano una via sicura per orientarci verso il valore profondo del bene reale (17).
NOTE
- “The flame of attention”, 1984, New York Harper and Row; versione
originale ‘Observation, like a flame of attention, it wipes away
hate.’ ‘Observation is like a flame which is attention, and with that
capacity of observation, the wound, the feeling of hurt, the hate, all
that, is burnt away, gone’ traduzione R.M.). - Dati pubblicati su Global Digital Overview 2020 da Hootsuite.
- Nati pubblicati su https://statusbrew.com/insights/social-mediastatistics/#
social-media-statistics, ultimo accesso 15 gennaio 2021. - Il film inchiesta Social Media, regia di Jeff Orlowski (2020), è
disponibile in italiano su Netflix. - Durante l’emergenza Covid, ad esempio, è noto che i social media
anche in Italia hanno censurato alcune voci dissenzienti rispetto
all’informazione dominante, con la cancellazione di video e
addirittura in alcuni casi la chiusura dell’accesso alle piattaforme.
A volte possono esserci validi motivi per impedire la diffusione di
contenuti che potrebbero essere contrari all’ordine pubblico, altre
volte potrebbe trattarsi di tutelare interessi di parte, ma qui
interessa notare soltanto che questa censura non viene decisa dalle
istituzioni democratiche in base ai principi di civiltà che sono
consacrati nelle carte costituzionali, ma viene decisa in completa
autonomia da quei pochi soggetti privati, e nel nostro caso stranieri,
che controllano i social media. I signori che gestiscono le
piattaforme mediatiche sono oggi per certi aspetti paragonabili ai
feudatari che gestivano il potere pubblico negli stati monarchici
pre-costituzionali. Il loro dominio però non è più definito da un
territorio ma dalla platea degli iscritti alle loro comunità virtuali,
travalicano i limiti degli stati e delle lingue, il confine è soltanto
dove non arriva il collegamento a internet. Come accadeva ai
feudatari di altri tempi, a volte entrano in competizione, altre volte
si accordano per governare insieme oppure per separare i rispettivi
regni. Così ad esempio, la guerra per il controllo di TikTok sembra
che sia finita con una spartizione tra cinesi e americani. - Già nel 2010 molti avevano sottolineato il ruolo determinante svolto
dai social nelle rivolte della primavera araba. Pochi mesi fa c’è
stato uno scontro violento tra Usa e Cina perché il social cinese
TikTok si stava diffondendo negli USA. È tutt’ora in corso la guerra
tra USA e Cina per il controllo territoriale delle nuove tecnologie
denominate 5G (quinta generazione) che consentiranno una presenza
ancora più incisiva nella vita privata della gente comune. Durante
l’ultima campagna elettorale presidenziale una Commissione del
Senato Usa ha contestato al capo di Twitter Jack Dorsey di aver
attivamente favorito il candidato democratico Biden censurando
alcuni sostenitori di Trump. Il 17 novembre 2020 il senatore
repubblicano Josh Hawley ha definito i gestori dei principali social
media “i nuovi baroni briganti” al pari di quel clan di finanzieri e
imprenditori che alla fine del XIX secolo in Usa si accordarono per
regolare le tariffe dei servizi, controllare i flussi di informazione e
liberarsi della concorrenza. Ha citato gravi inadempienze a carico di
Mark Zuckerberg, il proprietario di Facebook, di WhatsApp e di
Instagram, si vedano le accuse formulate dal senatore Ted Cruz il
28 ottobre 2020 su https://youtu.be/IRom3Zq8huA, si può vedere
il video dell’interrogatorio ripreso in diretta da NBC News e ora
disponibile su https://youtu.be/ONYuLP7sHFQ in lingua originale, è
anche disponibile una versione doppiata in italiano su https://
youtu.be/zxPcZRnI4Dk). Anche il governo cinese, a ottobre 2020,
ha programmato più incisivi controlli e limitazioni operative nei
confronti dei gestori di giganti come Alibaba (Jack Ma) e WeChat
(Ma Huateng). - Il termine pali usato nei testi canonici per descrivere questa facoltà
della mente è manasikara; dirigere l’attenzione in modo salutare è
yoniso manasikāra. - Il focusing è una tecnica di esplorazione interiore che si pratica
prevalentemente in coppia, a partire da un ascolto esperienziale del
corpo; Roberto Tecchio è formatore di focusing; cfr. E. Gendlin,
Focusing, Astrolabio, 2001; per maggiori informazioni
www.focusinginsideout.it. - Marsilio Ficino, “Sopra lo Amore” pag. 88, a cura di G. Rensi,
Carabba Editore 1914. - Canale YouTube Ameco videoconferenza 17 aprile 2020 https://
youtu.be/N06LhJV9mnI, J. Goldstein lo definisce “intenzionality
dial”. - J. Krishnamurti, “Thought is so cunning, so clever, that it distorts
everything for its own convenience” da Freedom from the Known,
capitolo 13. - Dia-bolico è ciò che “si mette di traverso”, separa, divide, deriva dal
greco diàbolos propriamente ‘ingannatore, accusatore, separatore’,
derivato di dia-ballein ‘condurre attraverso, accusare, ingannare,
seminare inimicizia’, composto di dia ‘attraverso’ e ballo ‘metto,
lancio’. - Corrado Pensa e Neva Papachristou, Affrettati Piano, 2018 Ubaldini
Editore, pag. 141. - La mente è continuamente attiva nel produrre sequenze di pensieri e
immagini, a volte suoni, che possono dare vita a mondi interi,
scollegati dalla realtà del presente. È estremamente facile che
l’attenzione sia completamente assorbita in questi ambienti
“virtuali” senza più conoscere altro, come se fosse quella l’unica
realtà possibile. A volte si passa da una a un’altra velocemente. I
motivi per cui è così facile che ciò accada sono probabilmente gli
stessi che alimentano avversione, attaccamento, ignoranza, i classici
tre inquinanti (kilesa). Con la meditazione impariamo a verificare
direttamente quanto sia forte la tendenza della nostra attenzione
ad allontanarsi dall’esperienza concreta del presente. - Corrado Pensa e Neva Papachristou, Affrettati Piano, 2018 Ubaldini
Editore, pag. 225. - Immanuel Kant afferma che la morale è costituita da tre ‘imperativi
categorici’: ’agisci in modo che tu possa volere che la massima delle
tue azioni divenga universale’, ‘agisci in modo da trattare l’uomo così
in te come negli altri sempre anche come fine, non mai solo come
mezzo’, ‘agisci in modo che la tua volontà possa istituire una
legislazione universale’; i nostri obiettivi non devono essere
raggiunti utilizzando il prossimo come ‘mezzo’, il prossimo deve
essere anche il fine, qualsiasi azione deve essere anche per il bene
del prossimo. - Un grazie particolare a tutti gli amici che ci hanno aiutato a
migliorare questo articolo, come Neva Papachristou, Giuliano Giustarini, Paolo Gentile e Anna Colombo.
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